giovedì 20 marzo 2008

Il derby

Per un tifoso mediamente avvelenato, concentrato e passionale, vincere un derby corrisponde ad una specie di catarsi da epopea fantasy, in cui il Bene ha finalmente la meglio sul Male. Una forzatura narrativa e faziosa ma stiamo parlando di tifo, no?
Per me il Bene è la Lazio: lo stile, il gusto, la sobrietà, la lotta contro avversità sportive e non di ogni genere che perseguitano questa squadra e questa società da 108 anni. E il Male viene ben rappresentato dall’altra squadra della città: l’arroganza, il fanatismo, l’autocelebrazione immotivata e la propaganda. Per non parlare dell’averla fatta franca da tante malefatte. Per qualche giorno le fanfare rimangono chiuse nello sgabuzzino, i titoli e i toni di una stampa schierata e intellettualmente disonesta si smorzano, i peperoni ritornano in cambusa. Ne guadagna anche la città. Ciò che successe nel 2001 e che fece vergognare la gente con un po’ di sale nella zucca di essere romani succede anche in piccolo quando questi altri si aggiudicano la stracittadina. Ecco un’altra differenza: loro non sanno né vincere né perdere. E nello sport è il difetto peggiore.

La mia top five dei derby più libidinosi:

1) quello di ieri. Perché è l’ultimo e l’ultimo gode sempre della vivida freschezza del ricordo. Vincere al 92° una partita che era stata sbloccata da una fortuna sfacciata (altra prerogativa della sponda opposta del Tevere) si avvicina alla soddisfazione di un orgasmo senza aver fatto sesso. E poi perché è l’undicesimo derby perso da Totti, un personaggio che ha smesso di essere solo un giocatore di calcio da anni, quando una strategia di marketing grossolana e adatta ai gonzi lo ha trasformato in prodotto da vendere, insabbiando i suoi atti sleali per inventarsi barzellette, record improbabili e gonfiando a dismisura ogni suo gesto tecnico. Mentre il record infranto ieri è importante: Totti è il calciatore che ha perso più derby nella storia del calcio romano. Il precedente record di 10 sconfitte apparteneva sempre a lui.

2) Il derby del 6 marzo 1994. Quello del gol di Signori sotto la nebbia, con un tiro all’incrocio dei pali nella porta della Curva sud e con rigore (inesistente, proprio un Totti agli esordi si tuffò in area) sbagliato da Giannini e parato da Marchegiani sempre sotto la sud.

3) Il Derby di Di Canio, quello del giorno della Befana del 2005. Perché la Lazio non ne vinceva uno da tempo, e Di Canio non fu mai abbastanza celebrato per aver fatto qualcosa di unico per un calciatore: segnare al derby a sedici anni di distanza, vincendoli entrambi. Una sorta di evento fenomenale che se fosse successo a maglie invertite sarebbero piovuti dvd, magliette e manifesti. Anche perché i tifosi giallorossi sono l’emblema del consumismo. Spendono tanti soldi e soprattutto tante parole. I laziali e anche i tifosi del resto dell’universo sanno porsi un limite.

4) Il primo dei derby del famigerato poker servito. Nella stagione 1997-98, la Lazio vinse quattro derby su quattro. Un record, vero. Non come quelli inventati per il popolo ignaro e inconsapevole che tutto magna e butta giù. Scelgo il primo, vinto 3-1 perché la Lazio giocò in dieci dal 7° del primo tempo. Espulsione manco a dirlo esagerata. E poi perché nella loro panchina c’era Zeman che passò dall’altra parte per dispetto e come colpo di teatro dopo essere stato difeso, amato (oltre i suoi meriti) dalla tifoseria biancoceleste. Ne perse quattro di fila l’allenatore boemo. Mai fare i dispettosi…

5) Non scelgo una vittoria. Scelgo un pareggio. Sì, il 3-0 del 10 dicembre del 2006 rimane storico, forse il più storico di tutti. Ma nei primi anni Novanta, Paul Gascoigne pareggiò di testa un derby al 90° ed esplose tutta la sua gioia in una corsa pazza “alla Gascoigne” sotto la nord. Scelgo questo per lui, perché in quegli anni Gazza era uno dei più forti giocatori del mondo. Alla Lazio, che di storie come queste ne può raccontare, si ruppe prima i legamenti del ginocchio e poi tibia e perone. Malgrado Paul giocò poche partite, 42 mi sembra, riuscì a trafiggere il cuore dei laziali. Scelgo questo perché Gazza adesso è un uomo solo, in compagnia dell’alcolismo e della droga. Mi fa piacere ricordarlo e tifare ancora per lui con l’orgoglio di averlo visto giocare con la maglia che amo di più al mondo.

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