martedì 29 aprile 2008

Matrimonio all'italiana


LE CINQUE COSE CHE MI E' CAPITATO DI NOTARE AI MATRIMONI.


1) Il piacione
Il piacione dei matrimoni è sempre scompagnato e non autoctono. Solitamente è un parente alla lontana venuto in città per l’occasione. Belloccio ma privo di carisma, presenta abitualmente almeno un inconveniente nella vestizione: nodo della cravatta scaleno, abbinamento sbagliato giacca-pantalone, scarpe nuovissime nelle quali si muove a disagio, ultima asola della camicia incastrata tra la cinta e il bottone dei pantaloni. La sua ansia di conoscenza di un esemplare femminile comincia già in chiesa quando si guarda intorno alla ricerca delle prede. Il piacione del matrimonio inizia la sua attività 'piacionesca' dopo essersi tolto la giacca; di solito è il primo del tavolo a farlo, persino prima dell’antipasto, in barba a tutte le regole dell’etichetta. Mentre mastica e beve (vino anche se non lo regge perché fa più fico!) racconta di sé e chiede con affannosa curiosità cosa facciano nella vita gli altri commensali, e si lascia andare a battute tritissime e fuori sincrono. Nei momenti di pausa comincia la questua dei numeri di telefono nel disperato tentativo di creare un aggancio per il futuro. Si sposta di sedia in sedia, di tavolo in tavolo. Attenzione: anche la vostra fidanzata è a rischio piacione. E se ci chiacchiera per più di cinque minuti, allora in fondo in fondo pure voi siete o siete stati un po’ piacioni. O la vostra fidanzata non ha gusto per gli uomini. Fate voi.
La caccia alla femmina del piacione si fa più intensa durante i “rompete le righe”, quando lo si vede tentare l’approccio 'face-to-face' con la ragazza messa a fuoco in precedenza. E’ curioso il fatto che le sue ambizioni viaggino in ordine decrescente di bellezza. Fiducioso nelle sue doti seduttive, il piacione approccia impettito la più strafica nei dintorni, per finire a baccagliare dopo l’ammazzacaffè di fronte ad uno scorfano. Quindi, voi donne, se volete avere il polso della vostra avvenenza, controllate con attenzione quale posizione occupate nell’elenco provolone del piacione. La sfortuna del piacione dei matrimoni è che, fateci caso, è sempre costretto ad andare via prima. Ha sempre un treno che parte, un garage che chiude, un cane da portare a pisciare. E con le pive nel sacco abbandona il luogo del crimine quando il “mood” della giornata non si è ancora sciolto in confidenze post-brindisi e le ragazze non sono ancora diventate dialetticamente più accoglienti.





2) I MUSICISTI

Accompagnatori petulanti del megapranzo, dall’antipasto alla torta nuziale. I musicisti più fastidiosi pretendono che gli sposi si lancino nel più raccapricciante dei karaoke. I più stronzi provano a mettere in mezzo anche gli ospiti. Poi ci sono gli ospiti convinti di essere intonati che inseguono cinque minuti di celebrità domestica. E' un momento terribile che arriva solitamente a cerimonia inoltrata: a mascara colato, cravatta slacciata, pancia sblusata. Un vero sputtanamento, tatuato nel curriculum esistenziale dei suddetti.
C’è poi il sacro momento degli sposi che ballano il lento: si tratta di patetiche smancerie sotto i riflettori. La canzone d’accompagnamento è sempre agghiacciante. Si va da Celentano a Cocciante, dai Pooh a Francesco Renga. Roba da intervento della buoncostume. Insopportabile! Peraltro si scoprono altarini indecenti sui gusti dei tuoi amici, che una volta erano pure rockettari e adesso ballano rigidi, vestiti come pinguini al suono della più vomitevole canzone sanremese. Lui una volta aveva i jeans sdruciti e pogava, lei si faceva le canne e si vantava di essere stata ai concerti in tenuta antisommossa. Ma ciò che mi fa ammattire di più di questi salamelecchi a comando, la vera zona buia e ignota che nessuno riuscirà mai ad illuminare è un’altra: ma due persone che si sono appena sposate, che si amano, che avranno fatto l’amore centinaia di volte, che si saranno confidati con l’altro, in macchina coi finestrini abbassati, che hanno viaggiato insieme, dormito insieme, mangiato insieme ecc. Ma due sposi, durante il lento, ma che cazzo si dicono? Perché parlano, io li vedo., Parlano. Ma di cosa? Che qualche coniuge si faccia avanti e lo confessi.
Gli ultimissimi della lista, però, gli sposini da pena capitale, sono quelli che durante il lento canticchiano l’indecorosa canzone. Quelli no! Quelli ammazzateli Vi prego!
In ultimo, l’aspetto più buffo dei musicisti da matrimonio è lo stravolgimento “trans - gender” dei testi delle canzoni.
Succede quando del ridente complessino è la donna ad essere la cantante, per cui “Dieci ragazze” di Lucio Battisti, diventa automaticamente “Dieci ragazzi”.
E fin lì ci si potrebbe stare.
Almeno fino alla strofa: “capelli biondi da accarezzare, e labbra rosse sulle quali morire”.
Voglio dire, vabbè dieci ragazzi, te voglio bene, ma col rossetto no. Le labbra rosse sulle quali morire non si può sentire!
Per non parlare della gettonatissima “Gelosia” di Vasco Rossi che recita:
Ma dimmi una bugia!
che cosa Conta!
Se tu sei solo Mia!
che cosa Importa!
perché la gelosia!
è solo questo!
perché la gelosia!
non è nient'altro!
Niente che colpa mia!
perché senz'altro!
senz'altro che sei mia! e di chi Altro!
Come vedete, si poggia sapientemente sulle parole: bugia, gelosia, mia.

E che invece per la musicista donna da matrimonio si trasforma in:
Ma dimmi una bugia!
che cosa Conta!
Se tu sei solo MIO!
che cosa Importa!
perché la gelosia
è solo questo!
perché la gelosia!
non è nient'altro!
Niente che colpa mia!
perché senz'altro!
senz'altro che sei MIO
e di chi AltrA!

Provate a canticchiarla. Provate. Non è francamente inaccettabile? Però fa un sacco ridere.


3) La tua professione

Ad un matrimonio succede ovviamente di incontrare persone estranee con cui forzatamente entrate in contatto. E scattano le domande fatidiche per rompere il ghiaccio e sapere se stai dividendo il tavolo con un maniaco omicida. E poi è necessario per fare un po’ di conversazione.
Il più normale dei quesiti è: “ma tu cosa fai?”.
E a meno che voi non abbiate una risposta secca (l’idraulico, il domatore di leoni, l’acrobata) cominciate a farneticare sulla vostra condizione professionale (e, per estensione, esistenziale) in maniera evasiva: “Mi occupo di…”; “hai presente quelli che…”, “lavoro per un service editoriale che fornisce…o mio Dio”. Eccetera.
Ma prima che arriviate al motore del discorso, avrete usato già un sacco di parole superlfue.
Se il vostro interlocutore, entro dieci secondi, non ha ancora capito se vi alzate ogni mattina per leccare posaceneri, scippare vecchiette o collaudare clisteri, allora significa che lavorate nel terziario.
In pratica la domanda che vi è stata posta era chiarissima: vuole sapere COSA fate.
Voi rispondete partendo dal dove, dal quando, dal perché o dal come.
Non ci credete? Bene. Prendete la vostra carta d’identità. Cosa c’è scritto sotto la voce professione? Se ci sono due barrette ho ragione io. A volte basta dire impiegato. Lo so, è dura.

4) I fotografi
Avvoltoi implacabili, maledetti bagarini dell’immagine, infami approfittatori dei vostri momenti di debolezza. Li riconoscete non dall’apparecchiatura iper professionale appesa al collo, ma perché sono gli unici in abito borghese e scaciato.
Agiscono in due momenti.
Il momento dello scatto, a cui non sapete dire di no, perché inconsciamente pensate che gli sposi si offendano e perché aspettate che sia qualcun altro a mandarli dolcemente a quel paese, così come dovrebbe essere una donna a dire di no al marocchino che vi assale nei locali per vendervi le rose.
Ma ai matrimoni siamo tutti di buon umore: “evviva gli sposi e cazzi vari”.
E infatti gli avvoltoi vi sorprendono fuori della chiesa, la casa di Dio, e pensate che sarebbe un peccato mortale non far lavorare quei poveretti.
Oppure vi beccano al tavolo quando il buffet ha calmato gli ardori della fame e ancora non siete appesantiti dall’abbondanza delle pietanze. Click. Fatto!
A quel punto sapete che torneranno. E anche se non ci pensate, in realtà ci pensate. E sperate che la foto non sia venuta bene, che la camera oscura sia stata tranciata da un fulmine, che l’avvoltoio sia stato nel frattempo investito da un Boeing.
E invece no.
Torna.
Ed è la seconda fase del suo lavoro pidocchioso. L’avvoltoio aleggia per i tavoli con queste foto in mano e vi guarda, vi scruta, poi si ferma, se ne va, poi ritorna indietro: sta cercando di far corrispondere quel volto sorridente in foto con quello incazzato di chi sta per sborsare dieci euro insanguinati.
Quando vi porge la foto, voi la guardate con attenzione e ovviamente vi accorgete di aver sfoggiato l’espressione più ebete del vostro assortimento di smorfie.
Ma la pancia è pienissima (siamo dalle parti del sorbetto), la palpebra in fase calante e soprattutto la vostra ragazza è venuta benissimo: raggiante e incapsulata. Perciò siete fregati. Mano al portafogli e la comprate.
Ma, badate bene. Se la vostra ragazza vi lascerà un giorno, sarà anche perché quella maschera grottesca, il sorriso forzato, la rasatura estrema con cui vi siete scotennati di fretta prima di correre alla cerimonia, sbucheranno fuori dal cassetto nel momento meno opportuno.

5) Il lancio del bouquet

Solitamente quando si esce a cena con altri amici accoppiati, c’è sempre il momento della separazione dei sessi. Le ragazze vanno in bagno, oppure a fumare, oppure si rannicchiano in una metà della tavolata per una conversazione al femminile. In quei momenti i ragazzi finalmente possono parlare in santa pace di calcio e pronunciare anche la parola “pompino” senza troppi patemi d’animo. L’unica occasione in cui non si può abbassare la guardia è l’ineluttabile momento del lancio del bouquet ai matrimoni. In quel momento dovete essere presenti. Lo annuncia la sposa: “Che tutte le ragazze nubili vengano con me in giardino che faccio il lancio del bouquet”. Benissimo. E’ solo un gioco per carità, ma inizia la passerella delle donne in cerca del buon partito e di quelle fidanzate con propositi esistenzialmente bellicosi.
Sfilano: ultraquarantenni single obese, pischelle di diciotto anni con la foto del fidanzatino sul desktop del telefonino (devastante…brrr), divorziate che aspirano ad una seconda chance. Più tutto un codazzo di donne con posizioni sentimentali di vario genere.
Si ammucchiano in mezzo alla polvere e al brecciolino e mi ricordano quando noi uomini giocavamo a pallone da piccoli ad una porta sola, con il portiere che si voltava e tirava il pallone.
Mentre il bouquet appena lanciato è ancora in aria, guardatele: A parte le braccia protese manco fosse l’elisir di lunga vita, noterete un sacco di cose interessanti: smagliature sulle calze sopra il ginocchio, piedi che fuoriescono dalle scarpe di una misura più grande, rotoli insospettabili intorno alla pancia finalmente rilassata, reggiseni push-up. Poi, una volta che la fortunata si è accaparrata il mazzetto di fiori, e una volta svelata la sua identità dietro al trucco, lo sguardo degli astanti si volta repentinamente verso il fidanzato della vincitrice giornaliera di ruba bouquet. Se siete voi, vi aspetta una sana dose di prese per i fondelli e pacche sulle spalle.
Ma non è questo il peggio.
Il peggio è che i minuti successivi vi sembrerà di essere capitato in una stupidissima puntata di “uomini e donne” e vi troverete ad usare un lessico che mai e poi mai avreste pensato di usare. Finché qualcuno intorno a voi pronuncerà persino le parole “viaggio di nozze” e "figli maschi". Allora, alzate i tacchi e andatevene al bar. Avete bisogno di un drink!























































sabato 19 aprile 2008

Goodbye Danny!


Addio a Danny Federici, invisibile, indispensabile colonna della E Street Band.

Faceva parte di quelli sempre in seconda linea, eppure fondamentale per il suono live della più impetuosa rock band di sempre.
Più vicino a noi comuni mortali che amano invece immedesimarsi nei frontmen.
E' il primo della E Street ad andarsene. Uno dei fondatori.
Un fantasma sul palco, Danny
Ma senza di lui non sarà mai più la stessa cosa.

Non ci sarai il 25 giugno a Milano, Danny. Mannaggia a te.
You left us in these badlands...


Lo voglio ricordare con una delle più commoventi canzoni sull'amicizia che siano mai state scritte: Bobby Jean, firmata ovviamente da Bruce. Una di quelle canzoni che ti straziano per i versi semplici e sanguigni. Bruce sa trascinarti nella polvere e nelle lacrime, di gioia o di dolore, come la forza di gravità. Bobby Jean è uno di quei pezzi che ti mettono nostalgia dei posti in cui non sei mai stato. Come se le avventure notturne per le highways americane non fossere state solo un sogno. Un canzone sull'impossibilità del rancore di fronte alla scelta di libertà di un amico. Sulle decisioni impulsive e l'innocenza perduta. Una canzone che ti scova le scintille dentro le viscere e dà fuoco al sentimento più rognoso di tutti: la mancanza di qualcuno. Qualcuno che non riusciresti mai a odiare. Qualcuno che hai perso per sempre. O forse no, chi lo sa. Ognuno di noi ha perso un Danny, o lo perderà, prima o poi.

In coda, posto il video della canzone in una versione dal vivo.

E allora, che la terra ti sia lieve, "Minister of Mistery".
R.I.P.



BOBBY JEAN (da Born in the Usa, 1984)
Well I came by your house the other day
your mother said you went away
she said there was nothing that I could have done
there was nothing nobody could say
Me and you we've known each other
ever since we were sixteen
I wished I would have known
I wished I could have called you
just to say goodbye, Bobby Jean
Now you hung with me
when all the others turned away
turned up their nose
we liked the same music
we liked the same bands
we liked the same clothes
We told each other
that we were the wildest,
the wildest things we'd ever seen
now I wished you would have told me
I wished I could have talked to you
Just to say goodbye Bobby Jean
Now we went walking in the rain
talkin' about the pain from the world we hid
now there ain't nobody nowhere nohow
gonna ever understand me the way you did
Maybe you'll be out there on that road somewhere
in some bus or train traveling along
in some motel room there'll be a radio playing
and you'll hear me sing this song
Well if you do you'll know I'm thinking of you
and all the miles in between
and I'm just calling one last time
not to change your mind
but just to say I miss you baby
good luck goodbye, Bobby Jean.




mercoledì 9 aprile 2008

Macché...davero davero!

Stare bene in cinque mosse:

1) Non mordere i lucchetti delle porte chiuse.
2) Non cercare di esistere con persone per cui non esisti.
3) Rifiutare il concetto che un lavoro sia la parte predominante della tua giornata.
4) Non credere a chi si professa virtuoso.
5) Togliersi i paraocchi.




Il sacro valore della scrittura:

1) Non scrivere mai a chi non se lo merita. Nemmeno una riga.
2) Non scrivere mai pensando che il lettore sarai tu.
3) Non usare mai una parola in più di quelle necessarie. Se lo fai vuol dire che stai convincendo invano qualcuno che ha già fatto un’altra scelta.
4) Non pensare che per gli altri le parole abbiano lo stesso peso e lo stesso valore che hanno per te.
5) Non pensare che le parole possano aprire una porta chiusa.

5 bis: La regola più importante: MAI DARE GIUSTIFICAZIONI DI QUELLO CHE HAI SCRITTO. Se qualcuno te lo chiede vuole fregarti.

domenica 6 aprile 2008

Mi riunisco, dunque sono!

Settimana di passione e azienda in liquidazione. Nel fantastico mondo del lavoro subordinato con ferie, permessi e ascensori parlanti, succede di essere acquistati per finta, gestiti per davvero e poi lasciati nelle mani dell’ennesimo estraneo che di fatto avrà in mano parte del tuo futuro. Lo chiamano liquidatore: guarda i conti e decide se e quando chiudere baracca, burattini e macchinetta del caffè. In pratica tu rischi di perdere il lavoro perché qualcun altro ha messo l’azienda in un mare di debiti prima di scapparsene alla chetichella. Un vero uomo dovrebbe essere responsabile del proprio fallimento. E invece no, perché sei dipendente. Stai zitto e dipendi! In questo fantastico mondo succede anche di non percepire lo stipendio e di saperlo solamente il giorno prima. E ripensi a quella volta in cui hai scelto di non prenderti un giorno di ferie malgrado ne avessi bisogno, Provate un po’ a dire ad un nerboruto idraulico che non lo pagherete dopo avervi aggiustato la lavatrice. Secondo voi, che fine fa quel tubo che gli è rimasto in mano? Ci sono tutti i presupposti per fare una rivoluzione armata ma ho sbagliato generazione, preparazione fisica e credo anche biancheria intima. Non vorrei fare brutte figure in caso di uso di idranti da parte della polizia. Per cui meglio concentrarsi sulle possibili alternative qualora vada tutto a puttane. Come prossimo impiego mi piacerebbe:

1) giocatore di poker professionista
2) ventriloquo su una nave da crociera
3) il rabdomante
4)critico di film hard
5) il liquidatore.

La settimana è stata scandita da frequenti riunioni tra dipendenti disorientati. Succede che si viene chiamati repentinamente all’interfono e ci si ammucchia in una stanza per giocare a fare i sindacalisti. Ci si siede sui tavoli, per terra e ci si concentra attorno alle parole chiave : 1) scenario 2) stipendio 3) lavoro 4) lettera 5)malimortaccidepippo.

Se avete la fortuna di stare con gente cazzuta vi capiterà di sentire l’espressione “Class Action”.

Mentre a turno i più scafati prendono la parola, è possibile scambiare sguardi di intesa coi colleghi più simpatici e le colleghe più sexy; si socializza con persone con le quali hai scambiato cinque monosillabi nell’ultimo anno; come a ricreazione ti sgranchisci le gambe e se non disturbi puoi far merenda. Straordinario poi: c’è chi alza la mano per parlare, anche persone di 60 anni. In fondo però ci si annoia di brutto e si ha una lampante sensazione di impotenza.

Io detesto le riunioni sin da quando ero in fasce e ci riunivano nello stanzone dei neonati. L’unica differenza è che allora eri libero di piangere senza perdere in dignità. Potevi pure pisciarti addosso, figuriamoci. Adesso però hai il diritto di rimanere in silenzio. Vi pare poco. Durante queste assemblee improvvisate mi capita di osservare che:

1) Si parla al plurale. “Ora dobbiamo solo aspettare” che è frase buona e giusta, perché altrimenti non saremmo dipendenti ma indipendenti. In effetti è questo il nodo cruciale. Se capisci che, in realtà, fuori delle mura ammuffite del tuo ufficio, esiste un destino a cui tu hai diritto di partecipare da protagonista eviti che ti si geli il sangue nelle vene. Molto usata anche “Dobbiamo continuare a lavorare” anche senza la sicurezza di essere pagati. Dicono che sia saggio ma se ci pensate è paradossale. Provate a dirlo all’idraulico.


2) Ti rendi conto dei tormentoni dialettici in cui i tuoi colleghi sono imprigionati. Sintassi piene zeppe di superflui intercalare perfettamente in linea con l’insipido lessico aziendale quotidianamente in uso. I “secondo me” e gli “attimino” fioccano come nemmeno nei più stupidi show televisivi.


3) Come mi ha fatto notare la mia carissima amica (nonché work spouse) Monica, c’ è sempre il collega o la collega perplessa che formula la domanda a cui è stato risposto esattamente un minuto prima. Io sto quasi sempre in silenzio a meno che non siano presenti esclusivamente le persone con cui mi sento più in confidenza, quindi in assemblee più ristrette. Altrimenti mantengo lo stesso atteggiamento che tenevo a scuola: Cazzi miei e pronto a giustificarmi.


4) L’atteggiamento delle persone durante una riunione rispecchia indicativamente il loro carattere nella vita di tutti i giorni. C’è il lecchino, c’è quello competitivo che vuole far carriera anche nelle riunioni, c’è quello che fa battute pretendendo che tutti ridano, quello che fa domande pertinenti e quello che fa domande non pertinenti. C’è chi pensa agli affari suoi da sbrigare fuori dall’ufficio. Chi dà sicurezza. Chi capisce di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato.


5) A differenza delle assemblee universitarie, nelle riunioni d’ufficio il look passa in secondo piano. Niente sciarpe palestinesi, copricapi barricaderi, giacche di velluto con le toppe sui gomiti. Non girano canne e le ragazze sono davvero interessate all’argomento di discussione, purtroppo. Comunque le riunioni rendono le sigarette molto più saporite e ti mettono il giusto appetito.

Nella settimana del calvario noti chi veramente lavora e chi no. Per cui l’ignavo direttore responsabile si aggira come un’anima in pena scivolando nel ruolo di dipendente e cercando di fare comunella con te che guadagni circa sette volte meno di lui al mese. Vorrebbe che ci sentissimo sullo stesso piano. Solidarietà? Un par di palle.


Le riunioni non finiscono in un lampo ma si frantumano in varie sottoriunioni. Si esce dalla stanza dell’ammucchiata e si formano capannelli sparsi che lasciano emergere amicizie e sintonie. In mezzo ai capannelli le frasi più in voga sono: 1) Non ho capito una cosa…2) A me non me ne frega niente…3) Ma insomma che bisogna fare?...4) Ma quando si saprà qualcosa?... 5)Pranziamo insieme?


I capannelli si spezzettano poi in conversazioni a due. Ognuno individua la giusta persona che gli può chiarire le idee. I più sfortunati individuano la persona che ha le idee confuse più delle sue. Di lì: scrollate di spalle, smorfie di disappunto, sguardi di inesperienza: 1) boh! 2) guarda non ho capito nemmeno io… 3) che ti devo dire?... 4) ah davvero hanno detto così?... 5) Ma se li mandiamo tutti affanculo?


Infine il nocciolo della questione viene comunicato al resto della città attraverso le telefonate private. Tutti i dipendenti si aggrappano al telefono per spiegare al marito, fidanzato, moglie, sorella, amante, che cosa è successo e quali decisioni si sono prese. Di solito nessuna. Potete giurarci che ognuno dirà una cosa diversa. La riunione può perciò provocare una disunione dei punti di vista. Il tema della giornata, anche se in via di raffreddamento, non si dà per vinto e, fino all’orario di uscita, ricresce qua e là come la coda di una lucertola, con battute, scatti di nervi e lucidissime precisazioni dei più navigati.

E così via, fino alla prossima chiamata all’interfono: Pronti, via, altra ammucchiata, come pecore senza pastore.



martedì 1 aprile 2008

Weekend: Amore/Odio

Ecco le cinque cose, in ordine sparso, che amo di più a proposito dei weekend:

1) Non ricevi telefonate impreviste. Avete presente gli amici che vi perseguitano perché non hanno ancora capito che le loro lunghezze d'onda viaggiano su frequenze diverse dalla vostra? Le amicizie sono eterne, come nel mondo dei supereroi, per carità, ma le frequentazioni, no. Batman e Superman mica escono sempre insieme il sabato sera e Wonder Woman non risponde mai al cellulare quando la domenica mattina Mr. Fantastic cerca di chiamarla. Le frequentazioni sono intermittenti e telepatiche. Se si è sulla stessa lunghezza d'onda con una persona, allora siate sicuri che voi o lei vi chiamerete proprio quando è giunto il momento di risintonizzarsi.


2) Nel weekend finalmente mi posso vedere un film in dvd senza patemi d'animo e attacchi di sonno. Come Cristo comanda, insomma. Nello specifico, questo weekend ho visto Mash di Robert Altman (la mia top 5 dei film di Robert Altman: Il lungo addio, Nashville, America oggi, I compari, Il Dottor T & le donne). Stesso discorso per la musica, sebbene l'ascolto in macchina rimanga il mio preferito in assoluto. Questo weekend ho ascoltato: Blood on Tracks di Bob Dylan, The best of Led Zeppelin, la colonna sonora di The Committments, Cheap Thrills di Janis Joplin, Black Sheep Boy degli Okkervill River.


3) Nel weekend una doccia è più doccia. La colazione si estende su un arco di tempo più ragionevole. Il vino è più vino. Il cioccolato è più cioccolato che il martedì. Solo il sesso è lo stesso. Quello ha una goduria standard. Anzi, ora che ci penso, forse nei feriali mi piace di più.


4) Non si lavora. E questo è già abbastanza. Oddio a volte mi capita di lavorare a casa nei weekend e odio ogni minuto della faccenda. Comunque non vado in ufficio e quindi non sento la puzza di muffa della moquette del mio ufficio, né l'odiosa voce registrata sull'ascensore con la signorina che annuncia i piani. Nè entro e vedo i miei colleghi seduti alla loro postazione come li avevo lasciato il venerdì. Entrando per ultimo grazie al mio orario "spagnolo" mi sembra ogni volta di fare il mio ingresso trionfale dentro un presepe, con tutti ai posti di combattimento. Mancano il pastore con l'agnello sulle spalle, il laghetto fatto con lo specchio e il muschio dietro la capannina santa. E se non fosse per i vestiti diversi, giurerei che il weekend tutti gli altri lo hanno passato inchiodati alle loro scrivanie.


5)Il weekend favorisce i progetti per il futuro, anche se magari non andranno mai in porto, ma è in questi due giorni che vengono le idee per cambaire vita. Anche se tali sconvolgimenti esistenziali non avverranno mai. Però la domenica sera ti sei organizzato a mente un bel viaggio, magari hai deciso che dal mese successivo ti iscriverai in palestra o che è il caso di acquistare una nuova lampada. Le donne di solito si convincono che è ora di iscriversi a yoga o di iniziare una dieta. Ma le donne cambiano idea ogni 23 secondi e la sera della domenica avranno optato per un corso di fotografia.


Ecco invece le cinque cose che non sopporto dei weekend.


1) Non ricevi telefonate impreviste da parte delle persone che tu vorresti stessero sulla tua stessa lunghezza d'onda. Nei casi peggiori hai spedito un sms venerdì sera ma il destinatario ti snobba fino a lunedì, quando non serve più perché il senso di solitudine è sparito. Nei casi ancora più gravi, telefonate ed sms non arrivano nemmeno il lunedì, perché il destinatario (e mancato mittente) è totalmente disinteressato a te. Non gliene importa una fava. Però un giorno glielo farete presente. E la risposta sarà sempre la stessa: Avevo finito il credito (la uso anche io, questa).


2) Il weekend appesantisce e ingarbuglia di più i tuoi conti in sospeso che di solito decidono di sospendersi proprio il venerdì nel tardo pomeriggio (quando non ti si rompe la macchina o la lavatrice o peggio ancora il preservativo). Quindi ti porti quel dubbio, quel rovello diabolico in giro per la testa per più di 48 ore. Ovviamente, questo genere di apprensioni potrebbero essere risolti da una telefonata imprevista, per la quale, però, vi rimando al punto 1.


3) Il weekend infiamma i bubboni esistenziali e riproduce in piccolo e con una cassa di risonanza minore le devastazioni dell'animo da cui siamo colpiti nelle feste comandate (le peggiori: 1) Capodanno 2) compleanno 3) Natale 4) Ferragosto 5) Pasquetta). Sono i giorni in cui le bilance non si truccano e i macigni pesano come macigni. Il martedì il macigno si alleggerisce. Il sabato e la domenica, no.Tanto più che, anche nel weekend, ti senti in obbligo di fare qualcosa, ma non solo qualcosa, bensì qualcosa di originale che produca una narrazione serrata e avvincente nel corso della settimana successiva, qualcosa da far spalancare gli occhi alla platea.


4) Il punto 3 scivola nel punto 4 perché il weekend è la negazione di ogni clandestinità e va in vigore il più prevedibile dei giochi delle coppie. Il marito con la moglie, il suocero con la suocera, il fidanzato con la fidanzata. Da questo punto di vista, i giorni feriali sono inveci più prodighi di imprevedibilità e la differenza tra giorni feriali e giorni festivi è stata creata in virtù dell'esistenza degli amanti. Nel weekend i luoghi pubblici si affollano di coppie che tra le lenzuola, durante la settimana, non sono riuscite a raccontarsi le loro amene avventure quotidiane prese com'erano dagli ardori di Morfeo. Il sabato e la domenica si raccontano tutto con fittissime conversazioni. Spesso queste conversazioni si tengono nel buio delle sale cinematografiche. Sempre, queste conversazioni, avvengono tra due persone sedute accanto a me.


5) I vicini di casa. Nessuno ha veramente coscienza dei propri vicini di casa fino alla domenica mattina quando ti accorgi che i due vecchi del piano di sopra, poco deambulanti e molto sordi, fanno ciò che due vecchi poco deambulanti e molto sordi ti aspetti che facciano: cadere sul pavimento ed ascoltare la messa "a tutta callara". Ancora non mi spiego come il signore poco deambulante del piano di sopra non si sia fracassato del tutto i femori e, tanto meno, mi spiego come alla moglie molto sorda non si siano spalancate le porte del Paradiso per la costanza con cui segue la messa domenicale. Qualche burocrate delle celesti praterie dovrebbe spedirle una wild card. Mi spiego molto più agevolmente, invece, la mia conversione all'ateismo maturata nel corso degli anni.

Al piano di sotto vanno in scena gli psicodrammi di una giovane coppia coatta con litigi da intervento della buon costume. Lui le dice delle cose terribili. Lei piange e maledice il giorno che l'ha incontrato. Di regola mi addormento prima che i gemiti dell'amore favoriscano la tregua, per cui non sono costretto almeno all'ascolto coatto degli orgasmi coatti. Se le notti del weekend i due piccioncini (anche se dalla voce non si direbbe) si scannano in duelli all'ultimo "limortaccitua", durante la settimana li vedi passeggiare mano nella mano come se nulla fosse successo. Se sei fortunato li incontri in ascensore con cappelletto coatto e visiera coatta d'ordinanza (lui) e trucco coatto d'ordinanza (lei, e avolte pure lui...brrr) e capisci veramente tutto sul rapporto uomo-donna (scimmione-scimmiona) moderni che sono molto somiglianti alle dinamiche del focolare domestico preistorico. I tempi della clava non sono finiti. Lo dico? lo dico: limortacciloro.