sabato 28 giugno 2008

Tramps like us...baby we were born to run!


Dopo tre ore di concerto furibonde, imprevedibili, intense, già lo pensavo. Adesso, a freddo, lo confermo: quello del 25 giugno 2008 a Milano è il miglior concerto che abbia mai visto. Non ne ho visti una caterva, ma nemmeno pochi. Il top. E per restare in tema col blog comincio subito con i cinque momenti più emozionanti, sempre in ordine sparso: 1) Born to Run, cantata a squarciagola da tutto lo stadio, con le luci accese e le braccia che ondeggiano. Born to run è l'unico pezzo che il Boss fa sempre quando è in tour con la E Street Band. Non si schioda: prima o poi arriva. E io faccio outing: quando urlo insieme a 60.000 persone "Tramps like us, baby we were born to run", mi si accappona l'anima. Il passato si interseca col presente, quello che sono con quello che avrei potuto e dovuto essere, le cose che ho fatto illuminano pure quelle che non ho fatto e per un attimo mi sembra di essere, come dire, pieno, completo. Ovviamente succederà a tutti, ognuno con la propria canzone speciale. 2) L'inaspettato bis di chiusura con una trascinante Twist and Shout: un regalo dentro al regalo. Invito tutti ad ascoltare Twist and Shout suonata dal vivo dal Boss, ne vale la pena, fidatevi. 3) Bobby Jean, una delle mie preferite in assoluto, eterna canzone sull'amicizia che si impenna col sassofono di Big Man. Fiammeggiante, da groppo in gola. 4) La ballatona struggente e malinconica di Racing in the Street, quasi un momento di riflessione in un concerto senza pause. Con l'aggiunta di una sensazione strana, perché è un pezzo che non conosco a memoria ma mi ci vedo maledettamente dentro; mi capita, con Bruce, di sentirmi dentro il suo mondo anche quando qualcosa mi sfugge, anzi tutte quelle lacune che ancora ho, a causa del suo sterminato repertorio, non intaccano il senso di appartenenza. 5) gli assoli di chitarra: quello di Nils in Because the Night e il duetto/duello lancinante tra le fender di Bruce e Little Steven in Prove it all Night.
[breve inciso: i cinque assoli di chitarra più goduriosi, a memoria: Mark Knopfler in Sultans of Swing dei Dire Straits; David Gilmour in Comfortably Numb dei Pink Floyd; Mike Mc Cready in Alive dei Pearl Jam, Jimmy Page in Stairway to Heaven dei Led Zeppelin; Joe Walsh e Don Felder in Hotel California degli Eagles]


Già ascoltare un suo album ha un effetto taumaturgico consistente, ma un concerto del Boss è una specie di cerimoniale laico che ti ricolloca esistenzialmente. Come la forza di gravità, ti fa precipitare sulla terra e rimette i puntini sulle "i" su quello che sei e che stai facendo. Compi un giro tra i luoghi deputati della sua musica; la strada, la notte, la famiglia, il sogno di una fuga, la terra promessa, ognuno col suo lato oscuro e le sue anime perdute. E ancora le promesse non mantenute e le schegge di vetro di quei sogni infranti che cerchi invano di incollare. E magari ti accorgi che hai vissuto, e vissuto in maniera sostanziale, e ti rimetti a fuoco. Ma queste parole, dette da me, sono solfa e retorica.

La cosa buffa è che dopo mezz'ora di concerto, potresti anche dire basta. Ti ha già dato talmente tanto che ti basterebbe per un secolo. E invece ne hai ancora per più di due ore e quando finisce, ricominceresti immediatamente con altre trenta canzoni, tutte diverse da quelle ascoltate, cantate, saltate e ballate fin lì.


La E Street Band, poi, è la macchina rock più perfetta che mi venga in mente. Un affiatamento inimitabile e, forse, in questo momento storico, come suggeriscono molti che la seguono continuamente in tour, si trovano al loro apice. Mi impressiona Max "Mighty Weinberg", che lassù picchia la batteria, con l'espressione impassibile e la regolarità di un metronomo. Mi diverte Little Steven, che ormai ha il viso svaccato su cui ballonzolano gli occhi vispissimi da figlio di puttana, ma rimane un chitarrista micidiale. Mi esaltano Roy Bittan e il suo pianoforte. E poi Big Man. Che cosa sarebbe la E Street senza la puntualità del suo sassofono che fende ogni spartito e lo rende unico, sera dopo sera, album dopo album? Ora come ora, credo la E Street Band sia quanto di meglio ci sia in giro a livello live.


Ok, su Bruce, che dire? marpione, malizioso, impertinente, instancabile, promiscuo. Sembra quasi un attore porno sul set più che una rockstar. Riesce alternare in un batter d'occhio momenti solenni a quelli cazzeggioni. Se la comanda, davvero. Suda, scatta, si ferma, riparte. Si bacia le ragazze in primafila. Si concede, ti rende partecipe, ti invita a condividere i suoi piccoli riti. Non è l'unico al mondo, per carità. Ma rispetto agli altri riesce a lasciare la sensazione che ci sia maggiore sincerità e spontaneità, anche al netto dell'ovvia reiterazione dei gesti in ogni show. Tutto questo senza mai oltrepassare il confine e invadere la retorica, ché pure il rock ovviamente ha la sua.
Chiudo con la top 5 dei pezzi che non ha suonato e che io avrei voluto:
1) The River 2) Thunder Road 3) Waitin' On a Sunny Day 4) Cadillac Ranch 5) Jungleland


Cazzo. Non ha fatto queste cinque perle ed è il miglior concerto che ho visto? Sì, lo confermo.

lunedì 16 giugno 2008

Evelyn. Terza parte.


La vedrò stasera a cena. E poi il resto. Evelyn. Il suo carattere salta subito all’occhio. E’ angoloso e appuntito come una Citroen Anni ’70. E poi è buffamente sfasata. Lei vi dirà di no. Ma in realtà sta rispondendo ad un suo dubbio infantile che le ha arrovellato il cervello giusto un minuto prima. Evelyn è una che può permettersi di aspettare. Può passare a casa in pigiama tutti i sabato sera di questo mondo, ma con la coscienza di essere la più desiderata. E’ una che può scegliere. Forse non sa farlo, però può permetterselo. Ed è involontaria nel modo di fare, per cui ti spiazza. Quando pensi che stia per trafiggerti gli ormoni con la frase più maliziosa e sconcia del mondo, ecco che ti presenta il conto con il gesto, lo sguardo e la parola più romantica; incontaminata come il sonno di un monaco. E quando ti aspetti un segnale del suo retaggio infantile più candido, allora la vedrai sgusciarti alle spalle e pugnalarti con un sussurro vizioso. Il più proibito di tutti. Evelyn sa arpionarti anche se stai pensando ad altro. Ti sorride, ti fissa e aspetta. Lei può aspettare. E tu ti volti, come quando un ticchettio arpeggia il vetro della finestra. Lo ha fatto con me. Così ho capito. Non l’ha fatto con T. Che ancora non ha capito. E si è smarrito in inutili ed insistenti corteggiamenti, perdendo la bussola tra le bugie di Evelyn.


Gli ho detto: Il corteggiamento serve per alimentare un fuoco che già ruggisce e scintilla. Puoi essere il corteggiatore più originale ed implacabile di questo mondo, ma non ti servirà a nulla. Puoi scrivere lettere, affittare dirigibili, girare film, essere matto, simpatico, profondo, enigmatico, espressivo.


Mi ha detto: Ma io ci so fare.


Gli ho detto: E’ vero. Ci metti costanza, tempo, energia. E hai tempi giusti, la battuta spietata, l’idea lampante quando per gli altri è buio. Ma non basta. Anzi, non ha nessuna importanza.


Non gli ho detto: Io non ho corteggiato Evelyn. Lo stava facendo T. per me facendole crescere l’ego a dismisura. Io ho sentito semplicemente arpeggiare il vetro della finestra. E la notte stessa è successo. Sentivo il brusio elettrico della voce del fidanzato al telefono mentre lei si toglieva il mio sperma dalla pancia. Rispondevo all’ennesima paranoia di T. mentre lei usciva dalla doccia e si inginocchiava davanti a me. Queste cose succedono solitamente senza spargimenti di sangue. Perché ci sono le vittime e i carnefici. I perdenti e i vincenti. Ma ad un certo punto, le vittime e i perdenti arretrano. Fanno un passo indietro e si mettono lì, buoni, a digerire il rospo all’interno del loro perimetro incazzato. Mentre i carnefici proseguono nella loro voluttuosa e malandrina invisibilità. Finché finisce. Prima o poi. Ma con T. è impossibile. Lui non farà mai un passo indietro. Lui vuole sapere, scoprire, assaggiare il suo sangue che scorre. Vuole arrivare fino al punto più estremo. Ecco perché sta salendo in ascensore, mentre io sono affacciato alla finestra e vedo Evelyn parcheggiare.

lunedì 2 giugno 2008

Evelyn. Seconda parte


Vedrò Evelyn domani a cena. Non lo dico a T. Non credo che lei mi parlerà di questa storia. Primo, perché non sa che io so. Secondo, perché da quanto ho capito nella sua mente e nel suo cuore T. non ci è entrato nemmeno per sbaglio. Figuriamoci la storia ruvida e selvaggia tutta sesso, incontri clandestini e reggiseni presi a morsi.
C’è questa geniale canzone di Johnny Cash che si intitola “Flushed from the bathroom of your heart” che tra le varie strofe dice: “At the table of your love I got the brush off” e ancora “On the calendar of your events I’m last week”. Questo è il quadro. Briciole. Succede, no? Che non abbiate nemmeno voglia di sprecare inchiostro per far entrare qualcuno nella vostra agenda. Certo, il punto di vista di Evelyn potrebbe riservare sorprese. Ma non voglio prestarmi a patetiche cuciture di rapporti in cui manca persino la stoffa. Ma chi è Evelyn? Chi è questo sogno proibito che scrive messaggi alle tre di notte e porta la minigonna anche per andare in chiesa?
Ecco un breve identikit:
Stato civile: Fidanzata. Da un paio d’anni, con un tale che non ho mai visto. I suoi standard variano dall’esemplare tronista con berretto con visiera, al barista da spiaggia con ambizioni da animatore. Tipi asciutti, glabri e con le domeniche impegnate dalla squadra del cuore. Evelyn è il tipo di fidanzata mediamente presa. Di quelle che il rapporto se lo comandano. Di quelle mai costrette ad inseguire e col fucile ben saldo tra le braccia. Sa trattarti come un cesso ma senza tirare la catena.
La sua paura più grande: essere filmata di nascosto mentre fa sesso e venire a sapere che il video piccante sta girando su You Porn.
Fantasia sessuale: fare un pompino ad un Tuareg (rigorosamente Sagittario ascendente Capricorno) durante un concerto di Vasco Rossi. Sperando che qualcuno la riprenda e faccia girare il video su You Porn.
Tic ed idiosincrasie: Si fa leggere le carte da un’amica una volta al mese. Scarica da emule tutti i file che contengano il suo nome nel titolo per scongiurare la sua paura più grande. Ha un amico immaginario col quale si confessa quotidianamente ad alta voce. Ha un amico non immaginario con cui dorme almeno una volta al mese senza fare sesso. Il suo fidanzato ha cercato di spiegarle che la condivisione di uno spazio così intimo e circoscritto come un letto matrimoniale lo destabilizza e lo rende rabbioso di gelosia. Ma non ha avuto mai il coraggio di lasciarla per questo. Evidentemente crede alla storia della ronfata platonica. Lei invece è convinta di essere stata tradita con una donna che il suo tale ha conosciuto via chat. Ma non ha mai avuto voglia di tirare la catena suddetta.
Ho smesso di controllare l’orologio e ho spiaccicato il filtro della canna nel posacenere quando T. ha stravinto la gara della maglietta.
La gara della maglietta è una competizione nata una sera a cena con T. ed altri nostri amici. Ognuno di noi ha ricevuto i suoi bei due di picche da varie ragazze corteggiate senza ricevere in cambio nemmeno il minimo sindacale (vi lascio immaginare cosa sia). E quella sera pensammo che sarebbe stato divertente scrivere tutte queste grottesche frasi di rifiuto su una t-shirt.
Da “tu non mi meriti” a “ Stasera non posso più uscire perché devo dare da mangiare al mio coniglio”, da “con te ci parlo bene e basta ” a “farei sesso con te ma sono in un momento di transizione e ho giurato a me stessa che la prossima persona sarebbe stata una donna”.
Ce ne sono a bizzeffe, ma stanotte T. si merita la corona.
Mi dice: Evelyn mi ha scritto queste parole: “Ho fatto bene a non incoraggiarti per mettere le cose a posto e infatti adesso tutto funziona. Tu pensi alla tua fidanzata e non hai più distrazioni”.
Gli dico: Quindi ha salvaguardato la tua vita privata.
Mi dice: Sì, ma io mica glielo avevo chiesto.
Gli dico. Mi sa che è una cazzata.
Mi dice: Certo. Ma ad una che se ne esce con una motivazione del genere, che gli rispondi? Che gli fai?
Gli dico: un palo acceso nel culo?
Avevo dimenticato di dirvi che T. è fidanzato? Lo è. Mediamente preso, come Evelyn, ma senza la mano sul tasto dello sciacquone. I suoi standard variano dal tipo lotitesco con viso grazioso da bambina, al tipo barricadero che non mette la gonna nemmeno alla madonnina del presepe. Solitamente T. inizia un corteggiamento all’insegna del disimpegno e poi finisce per entrare in un tunnel di sofferenza senza vie d’uscita. Sa passare dal sogno del libertinaggio estremo, degno di un macho sciupafemmine, alla penombra esistenziale in cui si guarda allo specchio e si vede come uno schifoso freak da circo.
A volte penso che lui preferisca più essere desiderato che mettere in atto il desiderio stesso. Cioè, alla seguente situazione: ci sono due ragazze di cui una lo vuole e riesce ad andarci a letto e una che non lo vuole, preferisce quest’altra situazione: ci sono due ragazze che lo desiderano, lo chiamano e lo cercano e con cui può andare a letto in qualsiasi momento. Poi magari non ci va con nessuna delle due per eventi collaterali, però sente il suo ego irrobustirsi.
Tra l’ego robusto sempre e il pisello duro una volta sola, T. sceglie la prima opzione.
In quanto a fantasie sessuali, sia io che lui ne abbiamo da scriverci un libro.
Il suo immaginario erotico è decisamente prolifico. Ma lui ora è tutto concentrato sulla minigonna di Evelyn, da sollevare per un’incandescente scopata doggy-style in ascensore, in macchina, in un confessionale, nel bagno di un cinema (nel caso si sceglie un film italiano).
T. ride per la battuta del palo acceso nel culo. Io rido insieme a lui ma per le parole di Evelyn. Non è la sola cazzata che Evelyn gli ha detto secondo me, ma T. dovrebbe indossare una maglietta XXXL per contenerle tutte.

Metto su il caffè. E rispondo ad Evelyn.