domenica 13 settembre 2009

Canne e torsi nudi

Una cosa era certa: nel corso della serata mi avrebbero passato una canna e io avrei rifiutato. Non è facile rifiutare una canna. E come lasciare un amico. Che gli dici? Ho bisogno di vedere altri uomini? Non che sia imbarazzante, però quando rifiuti una canna, ti notano, perché rendi discontinuo un rituale. Durante il cerimoniale del fumo è sottinteso che tutti debbano partecipare. Cazzo, ci stiamo drogando qui, è una cosa seria. Per questo, durante la Messa non è che il prete va a offrire l’ostia tra i banchi, ma sono i fedeli che si recano all’altare. Altrimenti, come potresti rifiutate l’ostia senza passare per un peccaminoso miscredente? E che ci sei venuto a fare in chiesa se non ingoi il corpo e il sangue di Cristo? Per questo i cerimoniali cattolici sono di una perfezione teatrale assoluta. Troppi secoli di canne dovranno passare, per avvicinarsi alla perfezione di quel meccanismo. E poi, c’è un comandamento che recita: “la canna si passa e non si chiede”. Nessun comma, invece, è stato ancora pubblicato sul rifiuto della canna. Nemmeno puoi dirlo prima che non hai intenzione di fumare. Non si può, non è previsto dal rito. Rifiutare una canna è come andare a un matrimonio in jeans e scarpe da ginnastica. Ti notano. Quando le canne non le rifiutavo, non è che poi ne traessi beneficio. Non ne ho mai tratto beneficio. Anzi. Una volta mi ha scatenato un attacco di panico, ho perso i sensi, avevo il cuore a tremila. Certo, dentro c’era tutta marijuana, ma vaglielo a spiegare a quello che certosinamente ha ammucchiato, squagliato, rollato, acceso, aspirato. Quello che gira la canna è il number one della fase della serata in cui, per un tacito accordo, ci si allenta, tra sorrisi e ammiccamenti, secondo uno schema ben consolidato. Dopo tanti anni ti rendi conto che è una grossa bufala, una simulazione di libertà e clandestinità. Frottole. Non scambierei più un minuto di lucidità con un grammo di hashish. Ormai è roba da pischelli che almeno non sembrano patetici. Quando vedo ultratrentenni, madri di famiglia con l’abbigliamento ormai inopportuno e il culo svaccato dichiarare che ogni tanto ci vorrebbe una canna, penso subito: “spero di non essere lì quando accadrà”, perché è uno spettacolo pietoso. Meglio la chimica, le pasticche, il valium. Più decoroso, e non devi aprire le finestre. Cinquantenni col riporto bianco e i mocassini che si danno un tono sfiammeggiando un tozzetto di fumo; oppure zitellone con pappagorgia incipiente che si appoggiano di fianco sul divano, si levano le scarpe e mugolano aspettando il loro turno. Inadeguati. Per farsi le canne bisogna avere l’età giusta, il fisico giusto, l’abbigliamento giusto. Non ti puoi fare una canna in giacca e cravatta, se sei presbite, se hai gli addominali flosci, se sei calvo (non rasato, rasato va bene), se hai passato la giornata tra scartoffie e pannolini, se l’ultima volta che hai letto che dopo una certa età devi controllare la prostata ti sei ricordato di ricordartelo. Il fatto è che quando rifiuti di farti un tiro, non è che ti porti appresso il tuo curriculum di giovinastro scavezzacollo che una volta si faceva le canne. Conta il presente. E il presente dice che tu sei uno sfigato, un po’ asociale, che passa molte serate in casa, ha un lavoro che non lo soddisfa e una vita sessuale frustrante. E’ un “chi ti credi di essere?” col segno cambiato. Agli occhi delle femmine del gruppo fai la figura del rammollito. Chi rolla e squaglia è il guerriero con cui fare un figlio, che sarà vigoroso, cazzuto, fumato e parecchio figlio di mignotta. Tutto questo lo pensavo in attesa che aprissero la porta di ingresso. Arrivare tardi a serate del genere ti fa sentire un intruso. La cena è storia ormai, e hai mancato il momento per sfoggiare un po’ chi sei veramente, e metterti al riparo dai giudizi. Se arrivi con gli avanzi nei piatti, le macchie di vino sulla tovaglia e le fiammelle della candele dondolanti come unica fonte di luce, sei perduto, non puoi passare inosservato e forse dovresti farti controllare la prostata.

La mia amica mi accoglie con uno strascico di risata, prova inoppugnabile che ci si sta allentando a dovere. Dico: “ah, siete sul terrazzo”, e lei: “certo, come sempre e tu sei l’unico con la maglietta”. Ecco. Tanto per mettermi a mio agio, mi ricorda che sta avendo luogo un rito, e ogni rito esige una maschera. Tanto per farmi sentire a mio agio, mi sta dicendo che dovevo uscire a torso nudo da casa e che se da lì a cinque minuti non mi toglierò la maglietta sarò il solito che non riesce e lasciarsi andare in un coinvolgimento coinvolgente. Questa me l’ero persa, cazzo: la maglietta. Ero troppo concentrato sulle canne. Esco in terrazzo. Tutti gli uomini sono a torso nudo e le donne sono tutte, tutte, sedute a gambe incrociate, tipo posizione yoga. Si stanno facendo una canna. Imprevedibili. Quello che ha squagliato, rollato, acceso, aspirato lo noti subito. La ragazza che sta fumando in quel momento, sta aspirando e strizza gli occhi, ascoltando con devota concentrazione i discorsi profondi di un tizio. Lo guarda come se davvero stesse dando sostanza al suo momento: - sono allentata, libera, sto fumando dell’ottimo fumo, cioè, alla fine di una gustosa cena (etnica), tra gente un po’ alternativa, cioè, e partecipo a questa condivisione cioè, di pensieri, cioè, opinioni, fuori dagli schemi, in una dimensione che cioè finalmente è la mia, cioè.

E annuisce. Si sta proprio facendo una canna in una serata senza difetti. Per lei il sole oggi è sorto e tramontato esclusivamente per questo.

Io ho altri problemi. La maglietta. Se adesso non mi tolgo la maglietta, ci faccio una figura da cazzo che si impennerà nel momento in cui mi passeranno la canna, e io dirò “no, grazie!”. Sono circondato. Ma uno che nella vita fatica per toccare un livello minimo di dignità, può sopraggiungere in un momento del genere e togliersi la maglietta? A serata iniziata, a cena conclusa, con tutte le femmine con le gambe incrociate e le infradito illanguidite fra le gambe del tavolo? Il fatto è che se sei l’unico che tiene la maglietta, stai a tuo agio più o meno come se all’improvviso ti mascherassero da testimone di Geova e, col calzino bianco che occhieggia dal risvolto dei pantaloni e l’opuscolo in una mano, ti costringessero a ballare sul cubo. Ma se decidi di tenerla c’è il rischio enorme che qualcuno ti indichi, in un momento di pausa, ribadendo “ma sei l’unico con la maglietta”. E’ semplice. Se sei a torso nudo sei rilassato e fico, se tieni la maglietta ostenti involontariamente disagio.

Nel frattempo, prima di sedermi, voglio capire la direzione del passaggio della canna. Senso orario o antiorario? Così mi sistemo nella direzione opposta e spero che prima che il giro termini succeda qualcosa: si esauriscano tutti gli accendini, inizi a piovere, ci sia una qualsiasi calamità naturale, compresa un’insurrezione delle infradito e delle magliette ammucchiate chissà dove.

La ragazza che ha trovato una dimensione, con gesto calcolatissimo e allentatissimo allunga il cartoccio fumante e fragrante alla sua destra. Afferro una sedia e mi accomodo alla sua sinistra. Per far vedere che sono un po’ fico anche io, sistemo la sedia al contrario e mi appoggio con i gomiti sullo schienale. Certo, sembro un po’ un cowboy in un western anni cinquanta, ma mi garantisce un minimo di protezione. Urge prendere tempo, calarsi nel buio, scomparire. Quello che sta fumando adesso ha una faccia da cazzo e atteggiamenti da leader e un kit di ordinanza che prevede: chitarra, capello spettinato, addominali rigidi, occhi azzurri e niente peli sul torace. E’ lui che ha cucinato l’etnico e rollato la canna. Altro da dichiarare? Che ne so, sei pure ricco e col cazzo grosso? Hai pubblicato due romanzi, sei cintura nera di qualcosa, fai l’attore, c’hai tre amanti, me voi menà? Quando vedo che passa il mozzicone bruciacchiato e ormai minuscolo della canna e si accinge a rollarne un’altra, giuro a me stesso che la prossima volta rimango a casa e mi faccio cento fotografie in cui sto fumando una sveglia di canna da mezzo metro, a torso nudo, col tatuaggio sulla schiena e le pubblico su facebook, dopo accurata manipolazione con photoshop. Ok, si ricomincia, penso. Dopo un paio di boccate sapienti, Mister Terrazzino 2009 porge lo spinello (sì, me so rotto di dire canna, almeno se devo sembrare sfigato, uso pure il termine sfigato!) alla mia amica, che nel frattempo, guardando Il Guerriero del Calumet, ha sbattuto talmente forte le ciglia che ha sparecchiato pure la tavola della signora dell’ultimo piano. Il giro è stato invertito, io mi abbraccio alla mia sedia da cowboy come se stessi per annegare.

E la ragazza che ha trovato una dimensione, con la voce impastata, fa: “no, no, dalla a lui. Lui non ha ancora fumato. Lui. Quello con la maglietta”.

In cielo nemmeno una cazzo di nuvola.