venerdì 19 settembre 2008

Wish you were here

And I am not frightened of dying, any time will do, I don’t mind. Why should I be frightened of dying? There’s no reason for it, you’ve gotta go sometime. I never said I was frightened of dying.

(The Great Gig in the Sky)













Immagino la mente come un luogo percorribile, smisurato, pieno di frontiere, di labirinti, di varchi che danno accesso ad altri luoghi sconfinati. Di nicchie insonorizzate dove ogni urlo si avviluppa nel silenzio; di rampe di lancio verso viaggi interstellari. Oltre il tempo, oltre lo spazio. La musica dei Pink Floyd.

Immagino uno scorcio di campagna inglese, un gregge di pecore immobile sorvegliato da un cielo perennemente plumbeo. In sottofondo risuona una litania infantile, una filastrocca innocente, innervosita da improvvisi scatti blues, ferita da ipnotiche pulsazioni psichedeliche: la tastiera di Richard Wright, il basso di Roger Waters, la chitarra di David Gilmour, la batteria di Nick Mason.

Immagino una stanza bianca e sguarnita dentro un’astronave atterrata tra le rovine di Pompei. C'è un letto arrugginito e isolato su cui riposa e risplende un diamante grezzo: la purezza e la follia di Syd Barrett. C'è un posto nella profondità della psiche, imprigionato in un’eco, in cui ogni attimo può essere espanso e ogni suono si propaga solenne, ogni canto è maestoso e ogni pausa nel pentagramma è allucinata e acida. Il mistero dei Pink Floyd.

Immagino un viaggio a ritroso nel futuro e avanti nel passato, dove la mente si acquieta e si intorpidisce, comodamente, e incontri un pazzo sul lato oscuro della luna. Un segmento di tempo unito da due stelle, lungo il quale corri e corri per raggiungere il sole ma lui sta sprofondando, ti sta sfuggendo per risorgere alle tue spalle. Un momentaneo intervallo della ragione dove le anime smarrite nuotano in una vaschetta per pesci e vanno incontro alle solite vecchie paure.

I Pink Floyd: un pianeta deserto nel futuro post-atomico. Un suono risucchiato dall’oscuro spazio profondo che non si arrende alla sua odissea. Fragile e invulnerabile insiste nella sua liturgia lisergica raschiata da una tempesta di sabbia. Cerca la simbiosi con la natura, con la follia, con Dio.

I Pink Floyd come Kubrick, come Antonioni, come Beethoven, come Proust, come Magritte, come De Chirico, come Icaro, come l’enigma.

1 commento:

Anonimo ha detto...

sei zoppo....non monco! forza un pò con questi post!!!

Una tua fedelissima lettrice flaca