martedì 29 aprile 2008

Matrimonio all'italiana


LE CINQUE COSE CHE MI E' CAPITATO DI NOTARE AI MATRIMONI.


1) Il piacione
Il piacione dei matrimoni è sempre scompagnato e non autoctono. Solitamente è un parente alla lontana venuto in città per l’occasione. Belloccio ma privo di carisma, presenta abitualmente almeno un inconveniente nella vestizione: nodo della cravatta scaleno, abbinamento sbagliato giacca-pantalone, scarpe nuovissime nelle quali si muove a disagio, ultima asola della camicia incastrata tra la cinta e il bottone dei pantaloni. La sua ansia di conoscenza di un esemplare femminile comincia già in chiesa quando si guarda intorno alla ricerca delle prede. Il piacione del matrimonio inizia la sua attività 'piacionesca' dopo essersi tolto la giacca; di solito è il primo del tavolo a farlo, persino prima dell’antipasto, in barba a tutte le regole dell’etichetta. Mentre mastica e beve (vino anche se non lo regge perché fa più fico!) racconta di sé e chiede con affannosa curiosità cosa facciano nella vita gli altri commensali, e si lascia andare a battute tritissime e fuori sincrono. Nei momenti di pausa comincia la questua dei numeri di telefono nel disperato tentativo di creare un aggancio per il futuro. Si sposta di sedia in sedia, di tavolo in tavolo. Attenzione: anche la vostra fidanzata è a rischio piacione. E se ci chiacchiera per più di cinque minuti, allora in fondo in fondo pure voi siete o siete stati un po’ piacioni. O la vostra fidanzata non ha gusto per gli uomini. Fate voi.
La caccia alla femmina del piacione si fa più intensa durante i “rompete le righe”, quando lo si vede tentare l’approccio 'face-to-face' con la ragazza messa a fuoco in precedenza. E’ curioso il fatto che le sue ambizioni viaggino in ordine decrescente di bellezza. Fiducioso nelle sue doti seduttive, il piacione approccia impettito la più strafica nei dintorni, per finire a baccagliare dopo l’ammazzacaffè di fronte ad uno scorfano. Quindi, voi donne, se volete avere il polso della vostra avvenenza, controllate con attenzione quale posizione occupate nell’elenco provolone del piacione. La sfortuna del piacione dei matrimoni è che, fateci caso, è sempre costretto ad andare via prima. Ha sempre un treno che parte, un garage che chiude, un cane da portare a pisciare. E con le pive nel sacco abbandona il luogo del crimine quando il “mood” della giornata non si è ancora sciolto in confidenze post-brindisi e le ragazze non sono ancora diventate dialetticamente più accoglienti.





2) I MUSICISTI

Accompagnatori petulanti del megapranzo, dall’antipasto alla torta nuziale. I musicisti più fastidiosi pretendono che gli sposi si lancino nel più raccapricciante dei karaoke. I più stronzi provano a mettere in mezzo anche gli ospiti. Poi ci sono gli ospiti convinti di essere intonati che inseguono cinque minuti di celebrità domestica. E' un momento terribile che arriva solitamente a cerimonia inoltrata: a mascara colato, cravatta slacciata, pancia sblusata. Un vero sputtanamento, tatuato nel curriculum esistenziale dei suddetti.
C’è poi il sacro momento degli sposi che ballano il lento: si tratta di patetiche smancerie sotto i riflettori. La canzone d’accompagnamento è sempre agghiacciante. Si va da Celentano a Cocciante, dai Pooh a Francesco Renga. Roba da intervento della buoncostume. Insopportabile! Peraltro si scoprono altarini indecenti sui gusti dei tuoi amici, che una volta erano pure rockettari e adesso ballano rigidi, vestiti come pinguini al suono della più vomitevole canzone sanremese. Lui una volta aveva i jeans sdruciti e pogava, lei si faceva le canne e si vantava di essere stata ai concerti in tenuta antisommossa. Ma ciò che mi fa ammattire di più di questi salamelecchi a comando, la vera zona buia e ignota che nessuno riuscirà mai ad illuminare è un’altra: ma due persone che si sono appena sposate, che si amano, che avranno fatto l’amore centinaia di volte, che si saranno confidati con l’altro, in macchina coi finestrini abbassati, che hanno viaggiato insieme, dormito insieme, mangiato insieme ecc. Ma due sposi, durante il lento, ma che cazzo si dicono? Perché parlano, io li vedo., Parlano. Ma di cosa? Che qualche coniuge si faccia avanti e lo confessi.
Gli ultimissimi della lista, però, gli sposini da pena capitale, sono quelli che durante il lento canticchiano l’indecorosa canzone. Quelli no! Quelli ammazzateli Vi prego!
In ultimo, l’aspetto più buffo dei musicisti da matrimonio è lo stravolgimento “trans - gender” dei testi delle canzoni.
Succede quando del ridente complessino è la donna ad essere la cantante, per cui “Dieci ragazze” di Lucio Battisti, diventa automaticamente “Dieci ragazzi”.
E fin lì ci si potrebbe stare.
Almeno fino alla strofa: “capelli biondi da accarezzare, e labbra rosse sulle quali morire”.
Voglio dire, vabbè dieci ragazzi, te voglio bene, ma col rossetto no. Le labbra rosse sulle quali morire non si può sentire!
Per non parlare della gettonatissima “Gelosia” di Vasco Rossi che recita:
Ma dimmi una bugia!
che cosa Conta!
Se tu sei solo Mia!
che cosa Importa!
perché la gelosia!
è solo questo!
perché la gelosia!
non è nient'altro!
Niente che colpa mia!
perché senz'altro!
senz'altro che sei mia! e di chi Altro!
Come vedete, si poggia sapientemente sulle parole: bugia, gelosia, mia.

E che invece per la musicista donna da matrimonio si trasforma in:
Ma dimmi una bugia!
che cosa Conta!
Se tu sei solo MIO!
che cosa Importa!
perché la gelosia
è solo questo!
perché la gelosia!
non è nient'altro!
Niente che colpa mia!
perché senz'altro!
senz'altro che sei MIO
e di chi AltrA!

Provate a canticchiarla. Provate. Non è francamente inaccettabile? Però fa un sacco ridere.


3) La tua professione

Ad un matrimonio succede ovviamente di incontrare persone estranee con cui forzatamente entrate in contatto. E scattano le domande fatidiche per rompere il ghiaccio e sapere se stai dividendo il tavolo con un maniaco omicida. E poi è necessario per fare un po’ di conversazione.
Il più normale dei quesiti è: “ma tu cosa fai?”.
E a meno che voi non abbiate una risposta secca (l’idraulico, il domatore di leoni, l’acrobata) cominciate a farneticare sulla vostra condizione professionale (e, per estensione, esistenziale) in maniera evasiva: “Mi occupo di…”; “hai presente quelli che…”, “lavoro per un service editoriale che fornisce…o mio Dio”. Eccetera.
Ma prima che arriviate al motore del discorso, avrete usato già un sacco di parole superlfue.
Se il vostro interlocutore, entro dieci secondi, non ha ancora capito se vi alzate ogni mattina per leccare posaceneri, scippare vecchiette o collaudare clisteri, allora significa che lavorate nel terziario.
In pratica la domanda che vi è stata posta era chiarissima: vuole sapere COSA fate.
Voi rispondete partendo dal dove, dal quando, dal perché o dal come.
Non ci credete? Bene. Prendete la vostra carta d’identità. Cosa c’è scritto sotto la voce professione? Se ci sono due barrette ho ragione io. A volte basta dire impiegato. Lo so, è dura.

4) I fotografi
Avvoltoi implacabili, maledetti bagarini dell’immagine, infami approfittatori dei vostri momenti di debolezza. Li riconoscete non dall’apparecchiatura iper professionale appesa al collo, ma perché sono gli unici in abito borghese e scaciato.
Agiscono in due momenti.
Il momento dello scatto, a cui non sapete dire di no, perché inconsciamente pensate che gli sposi si offendano e perché aspettate che sia qualcun altro a mandarli dolcemente a quel paese, così come dovrebbe essere una donna a dire di no al marocchino che vi assale nei locali per vendervi le rose.
Ma ai matrimoni siamo tutti di buon umore: “evviva gli sposi e cazzi vari”.
E infatti gli avvoltoi vi sorprendono fuori della chiesa, la casa di Dio, e pensate che sarebbe un peccato mortale non far lavorare quei poveretti.
Oppure vi beccano al tavolo quando il buffet ha calmato gli ardori della fame e ancora non siete appesantiti dall’abbondanza delle pietanze. Click. Fatto!
A quel punto sapete che torneranno. E anche se non ci pensate, in realtà ci pensate. E sperate che la foto non sia venuta bene, che la camera oscura sia stata tranciata da un fulmine, che l’avvoltoio sia stato nel frattempo investito da un Boeing.
E invece no.
Torna.
Ed è la seconda fase del suo lavoro pidocchioso. L’avvoltoio aleggia per i tavoli con queste foto in mano e vi guarda, vi scruta, poi si ferma, se ne va, poi ritorna indietro: sta cercando di far corrispondere quel volto sorridente in foto con quello incazzato di chi sta per sborsare dieci euro insanguinati.
Quando vi porge la foto, voi la guardate con attenzione e ovviamente vi accorgete di aver sfoggiato l’espressione più ebete del vostro assortimento di smorfie.
Ma la pancia è pienissima (siamo dalle parti del sorbetto), la palpebra in fase calante e soprattutto la vostra ragazza è venuta benissimo: raggiante e incapsulata. Perciò siete fregati. Mano al portafogli e la comprate.
Ma, badate bene. Se la vostra ragazza vi lascerà un giorno, sarà anche perché quella maschera grottesca, il sorriso forzato, la rasatura estrema con cui vi siete scotennati di fretta prima di correre alla cerimonia, sbucheranno fuori dal cassetto nel momento meno opportuno.

5) Il lancio del bouquet

Solitamente quando si esce a cena con altri amici accoppiati, c’è sempre il momento della separazione dei sessi. Le ragazze vanno in bagno, oppure a fumare, oppure si rannicchiano in una metà della tavolata per una conversazione al femminile. In quei momenti i ragazzi finalmente possono parlare in santa pace di calcio e pronunciare anche la parola “pompino” senza troppi patemi d’animo. L’unica occasione in cui non si può abbassare la guardia è l’ineluttabile momento del lancio del bouquet ai matrimoni. In quel momento dovete essere presenti. Lo annuncia la sposa: “Che tutte le ragazze nubili vengano con me in giardino che faccio il lancio del bouquet”. Benissimo. E’ solo un gioco per carità, ma inizia la passerella delle donne in cerca del buon partito e di quelle fidanzate con propositi esistenzialmente bellicosi.
Sfilano: ultraquarantenni single obese, pischelle di diciotto anni con la foto del fidanzatino sul desktop del telefonino (devastante…brrr), divorziate che aspirano ad una seconda chance. Più tutto un codazzo di donne con posizioni sentimentali di vario genere.
Si ammucchiano in mezzo alla polvere e al brecciolino e mi ricordano quando noi uomini giocavamo a pallone da piccoli ad una porta sola, con il portiere che si voltava e tirava il pallone.
Mentre il bouquet appena lanciato è ancora in aria, guardatele: A parte le braccia protese manco fosse l’elisir di lunga vita, noterete un sacco di cose interessanti: smagliature sulle calze sopra il ginocchio, piedi che fuoriescono dalle scarpe di una misura più grande, rotoli insospettabili intorno alla pancia finalmente rilassata, reggiseni push-up. Poi, una volta che la fortunata si è accaparrata il mazzetto di fiori, e una volta svelata la sua identità dietro al trucco, lo sguardo degli astanti si volta repentinamente verso il fidanzato della vincitrice giornaliera di ruba bouquet. Se siete voi, vi aspetta una sana dose di prese per i fondelli e pacche sulle spalle.
Ma non è questo il peggio.
Il peggio è che i minuti successivi vi sembrerà di essere capitato in una stupidissima puntata di “uomini e donne” e vi troverete ad usare un lessico che mai e poi mai avreste pensato di usare. Finché qualcuno intorno a voi pronuncerà persino le parole “viaggio di nozze” e "figli maschi". Allora, alzate i tacchi e andatevene al bar. Avete bisogno di un drink!























































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