domenica 6 aprile 2008

Mi riunisco, dunque sono!

Settimana di passione e azienda in liquidazione. Nel fantastico mondo del lavoro subordinato con ferie, permessi e ascensori parlanti, succede di essere acquistati per finta, gestiti per davvero e poi lasciati nelle mani dell’ennesimo estraneo che di fatto avrà in mano parte del tuo futuro. Lo chiamano liquidatore: guarda i conti e decide se e quando chiudere baracca, burattini e macchinetta del caffè. In pratica tu rischi di perdere il lavoro perché qualcun altro ha messo l’azienda in un mare di debiti prima di scapparsene alla chetichella. Un vero uomo dovrebbe essere responsabile del proprio fallimento. E invece no, perché sei dipendente. Stai zitto e dipendi! In questo fantastico mondo succede anche di non percepire lo stipendio e di saperlo solamente il giorno prima. E ripensi a quella volta in cui hai scelto di non prenderti un giorno di ferie malgrado ne avessi bisogno, Provate un po’ a dire ad un nerboruto idraulico che non lo pagherete dopo avervi aggiustato la lavatrice. Secondo voi, che fine fa quel tubo che gli è rimasto in mano? Ci sono tutti i presupposti per fare una rivoluzione armata ma ho sbagliato generazione, preparazione fisica e credo anche biancheria intima. Non vorrei fare brutte figure in caso di uso di idranti da parte della polizia. Per cui meglio concentrarsi sulle possibili alternative qualora vada tutto a puttane. Come prossimo impiego mi piacerebbe:

1) giocatore di poker professionista
2) ventriloquo su una nave da crociera
3) il rabdomante
4)critico di film hard
5) il liquidatore.

La settimana è stata scandita da frequenti riunioni tra dipendenti disorientati. Succede che si viene chiamati repentinamente all’interfono e ci si ammucchia in una stanza per giocare a fare i sindacalisti. Ci si siede sui tavoli, per terra e ci si concentra attorno alle parole chiave : 1) scenario 2) stipendio 3) lavoro 4) lettera 5)malimortaccidepippo.

Se avete la fortuna di stare con gente cazzuta vi capiterà di sentire l’espressione “Class Action”.

Mentre a turno i più scafati prendono la parola, è possibile scambiare sguardi di intesa coi colleghi più simpatici e le colleghe più sexy; si socializza con persone con le quali hai scambiato cinque monosillabi nell’ultimo anno; come a ricreazione ti sgranchisci le gambe e se non disturbi puoi far merenda. Straordinario poi: c’è chi alza la mano per parlare, anche persone di 60 anni. In fondo però ci si annoia di brutto e si ha una lampante sensazione di impotenza.

Io detesto le riunioni sin da quando ero in fasce e ci riunivano nello stanzone dei neonati. L’unica differenza è che allora eri libero di piangere senza perdere in dignità. Potevi pure pisciarti addosso, figuriamoci. Adesso però hai il diritto di rimanere in silenzio. Vi pare poco. Durante queste assemblee improvvisate mi capita di osservare che:

1) Si parla al plurale. “Ora dobbiamo solo aspettare” che è frase buona e giusta, perché altrimenti non saremmo dipendenti ma indipendenti. In effetti è questo il nodo cruciale. Se capisci che, in realtà, fuori delle mura ammuffite del tuo ufficio, esiste un destino a cui tu hai diritto di partecipare da protagonista eviti che ti si geli il sangue nelle vene. Molto usata anche “Dobbiamo continuare a lavorare” anche senza la sicurezza di essere pagati. Dicono che sia saggio ma se ci pensate è paradossale. Provate a dirlo all’idraulico.


2) Ti rendi conto dei tormentoni dialettici in cui i tuoi colleghi sono imprigionati. Sintassi piene zeppe di superflui intercalare perfettamente in linea con l’insipido lessico aziendale quotidianamente in uso. I “secondo me” e gli “attimino” fioccano come nemmeno nei più stupidi show televisivi.


3) Come mi ha fatto notare la mia carissima amica (nonché work spouse) Monica, c’ è sempre il collega o la collega perplessa che formula la domanda a cui è stato risposto esattamente un minuto prima. Io sto quasi sempre in silenzio a meno che non siano presenti esclusivamente le persone con cui mi sento più in confidenza, quindi in assemblee più ristrette. Altrimenti mantengo lo stesso atteggiamento che tenevo a scuola: Cazzi miei e pronto a giustificarmi.


4) L’atteggiamento delle persone durante una riunione rispecchia indicativamente il loro carattere nella vita di tutti i giorni. C’è il lecchino, c’è quello competitivo che vuole far carriera anche nelle riunioni, c’è quello che fa battute pretendendo che tutti ridano, quello che fa domande pertinenti e quello che fa domande non pertinenti. C’è chi pensa agli affari suoi da sbrigare fuori dall’ufficio. Chi dà sicurezza. Chi capisce di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato.


5) A differenza delle assemblee universitarie, nelle riunioni d’ufficio il look passa in secondo piano. Niente sciarpe palestinesi, copricapi barricaderi, giacche di velluto con le toppe sui gomiti. Non girano canne e le ragazze sono davvero interessate all’argomento di discussione, purtroppo. Comunque le riunioni rendono le sigarette molto più saporite e ti mettono il giusto appetito.

Nella settimana del calvario noti chi veramente lavora e chi no. Per cui l’ignavo direttore responsabile si aggira come un’anima in pena scivolando nel ruolo di dipendente e cercando di fare comunella con te che guadagni circa sette volte meno di lui al mese. Vorrebbe che ci sentissimo sullo stesso piano. Solidarietà? Un par di palle.


Le riunioni non finiscono in un lampo ma si frantumano in varie sottoriunioni. Si esce dalla stanza dell’ammucchiata e si formano capannelli sparsi che lasciano emergere amicizie e sintonie. In mezzo ai capannelli le frasi più in voga sono: 1) Non ho capito una cosa…2) A me non me ne frega niente…3) Ma insomma che bisogna fare?...4) Ma quando si saprà qualcosa?... 5)Pranziamo insieme?


I capannelli si spezzettano poi in conversazioni a due. Ognuno individua la giusta persona che gli può chiarire le idee. I più sfortunati individuano la persona che ha le idee confuse più delle sue. Di lì: scrollate di spalle, smorfie di disappunto, sguardi di inesperienza: 1) boh! 2) guarda non ho capito nemmeno io… 3) che ti devo dire?... 4) ah davvero hanno detto così?... 5) Ma se li mandiamo tutti affanculo?


Infine il nocciolo della questione viene comunicato al resto della città attraverso le telefonate private. Tutti i dipendenti si aggrappano al telefono per spiegare al marito, fidanzato, moglie, sorella, amante, che cosa è successo e quali decisioni si sono prese. Di solito nessuna. Potete giurarci che ognuno dirà una cosa diversa. La riunione può perciò provocare una disunione dei punti di vista. Il tema della giornata, anche se in via di raffreddamento, non si dà per vinto e, fino all’orario di uscita, ricresce qua e là come la coda di una lucertola, con battute, scatti di nervi e lucidissime precisazioni dei più navigati.

E così via, fino alla prossima chiamata all’interfono: Pronti, via, altra ammucchiata, come pecore senza pastore.



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