domenica 22 febbraio 2009

Una vittoria che viene da lontano

Premesso che non me ne frega una fava sbrodolona di Sanremo, di cui quest'anno ho seguito, sì e no, mezz'ora della prima puntata (dopo un digiuno volontario di circa vent’anni). E sorvolando sul valore (nullo) della canzone vincitrice che mi è capitato di ascoltare 'obtortocollo' per radio, impossibilitato a cambiare stazione perché impegnato nella toletta quotidiana, ammetto che la vittoria di questo marco carta è emblematica del disarmo estetico di questo paese del cacchio. Che una volta era di santi, poeti e navigatori. Adesso è di animatori, venditori e patetici fan di reality show.
Chiariamo subito. Da appassionato di musica non sono spaventato dalla possibile inaugurazione di un trend; figuriamoci, marco carta sta alla musica come i pruriti di una suocera in menopausa alla storia della pornografia: niente, nada, nothing, zero. E' il come ci si è arrivati che mi provoca un insano sgomento. Non ha vinto un cantante dalla faccia pulita e dall’acconciatura aerodinamica. Non ha vinto una canzonetta insipida dal testo smielato attorno a quattro note messe in croce. No, ha vinto una community. Ha vinto il ticchettio sui tasti dei telefonini della wind; ha trionfato il passaparola tra i guerrieri degli sms della Tim Tribù. Ha vinto lo stile di vita "lifeisnau". Ha vinto la televisione di Maria De Filippi e di sua moglie Maurizio Costanzo che in due hanno fatto più danni cerebrali agli spettatori italiani di un carosello di elettrochoc, specie a quella fascia d’età che va dai 12-13 anni ai 20-21 (sono ottimista…) e che rappresenta la fetta più sostanziosa del mercato. Non esiste un consumista più consumista di un adolescente consumista. E non esiste un conformista più conformista di un adolescente conformista. Ha vinto il gusto di quel mostro a due teste e tre telecomandi che è il telespettatore medio italico forgiatosi in anni di visioni di programmi insulsi come “uomini e donne”, “amici”, “saranno famosi”; quel telespettatore che si appassiona alle gare di “xfactor” e commenta con morbosa ed empatica passione le vicende di quattro esibizionisti reclusi dentro la casa del grande fratello. La tv spazzatura viene da lontano, lontanissimo. Miete le sue vittime dai tempi del Drive In, dalla nascita delle tv commerciali. Ha seminato bassi profili e opinioni semplicistiche, ha segato in mille pezzi il tempo medio di concentrazione e reso asfittiche le capacità critiche. Ha reso possibile la triplice elezione di un presidente del consiglio che quelle televisioni le possiede, creando un’anomalia unica nella storia della politica mondiale. Ammetto che qualsiasi sociologo considererebbe queste mie dissertazioni alquanto semplicistiche, non a torto, per carità. E’ come giocare a “che cosa apparirà?” sulla Settimana Enigmistica, unendo dei punti lontanissimi tra loro e sperare che sbuchi una figura che abbia un senso. Però. Però la domanda perversa che mi pongo è questa: quanti di quel milione e passa di votanti che hanno decretato vincitore marco carta si è sentito davvero parte di una comunità, ha sentito il suo apporto decisivo per la vittoria di un amico, di uno di loro, di un compagno di vita quotidiana, e ha provato la sensazione di essere in vetrina, di partecipare attivamente all’esito di una gara che, a conti fatti, era già decisa in partenza? E inoltre, che significato ha la presenza di Maria De Filippi nel contesto della serata finale? Io la mia risposta ce l’ho. Mi sembrano i dati di un teorema di cui non conosco la tesi, ma sicuramente l’ipotesi: omologazione.

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