mercoledì 29 ottobre 2008

Il matrimonio di Lorna


Ho visto “Il matrimonio di Lorna” al Quattro Fontane, uno di questi cinema a misura di cinefilo che assecondano la visione del film, ne coccolano il rituale e ti fanno sentire un fruitore intelligente. Deve essere il banchetto coi libri in prossimità dell’ingresso alla sala, o il bar coi tavolini che fa tanto dibattito intimo. Anche la gente che lo frequenta fa ‘pendant’ con la location. Per cui, ti guardi intorno e vedi questi tipi e tipe con il look trasandato comodo calcolato sblusato, con la borsa a tracolla estroversa e disimpegnata e la sciarpetta un po’ largona. Ci sono le quarantenni con poco trucco e l’acconciatura da affiliata veltroniana, gli studenti con la giacca di pelle e un libro o una rivista per le mani. Insomma una cosa seria, ma non seriosa. E, soprattutto, sono tutti lì per vedere il film. Strano, no?. Non come al Warner Village, specie nei weekend, che ti sembra di andare in una discoteca che fra le sue attrazioni ha anche una sala attrezzata per la proiezione. Ed è più facile trovare qualche mascalzone, tamarro pezzo di cacca che durante il film squarcia il buio con il display del telefonino. Gli altri miei cinema preferiti sono il Nuovo Sacher (per gli stessi motivi del 4 fontane), l’Eurcine e il Trianon (entrambi con sala ad anfiteatro, ideale per i verticalmente svantaggiati come me; entrambi garantiscono proiezioni nitide e accurate). Poi direi la Sala Troisi perché non trovi mai la massa di gente e dopo il film hai tutta Trastevere a disposizione per fare quello che ti pare. I cinema che invece cerco di evitare sono, oltre al Warner Village, frequentato da gente che arriva lì e poi sceglie il film (una persona normodotata fa il contrario): l’Atlantic, per colpa della signora con la permanente alla cassa che sbaglia a dare il resto e dice sempre che il film non è iniziato perché “ci sono i titoli di testa” (ma che sei scema!). I proiezionisti dell’Atlantic sono dei cani patentati e ogni film è una via crucis. Tra gli evitabili devo mettere a malincuore anche il Greenwich che sarebbe carino, ma Testaccio per il parcheggio è un castigo a meno che tu non abbia la macchina di Supercar che puoi lasciar scorrazzare da sola per due ore mentre sei in sala. Nell’elenco inserisco poi il Lux che è questa multisala con le pareti di compensato ad effetto rimbombo: ti vedi un film e ne ascolti sette-otto contemporaneamente. E pure il Madison, che per carità ha di buono che tiene i film fino all’usura della pellicola e fino alla morte naturale di tutti gli attori, così se hai perso un film che ti interessa, lì sei sicuro di recuperarlo. Ma ha delle sale anguste e proiezioni ipersfocate. E per sette euro e mezzo la cosa fa incazzare.

I film dei fratelli Dardenne sono un viaggio nelle deformità delle democrazie occidentali, in quei luoghi in cui le regole amorali e aberranti del capitalismo vengono applicate dai poveri Cristi, e in cui i connotati del carnefice e della vittima sono ambigui: sbiaditi e cedevoli, sono pronti ad essere stravolti da un evento, una presa di coscienza, un tradimento con conseguente ribaltamento dei ruoli. Tutto è in vendita nei film dei Dardenne, persino i neonati (L’enfant), ma soprattutto le coordinate etiche. Esiste una società basata sul mercato e ne esiste un’altra obliqua e intersecante, basata sul mercato nero dove il denaro è in contanti, insanguinato e lurido, e viaggia di mano in mano, senza sosta e in biglietti di piccolo taglio, per acquistare un compromesso, raggirare la legge, garantirsi una’esistenza minuscola. I Dardenne riescono ad infilarsi in una fessura e ad osservare una realtà in cui la morale è drasticamente sottomessa alle leggi dell’economia. A filmarne l’incedere discontinuo e affannato. Un po’ quello che fa Ken Loach ma con una regia meno neutra. Il punto di forza di “Il matrimonio di Lorna” (sebbene sia stato premiato per la sceneggiatura a Cannes) sta proprio nella messa in scena che produce quello scatto che fa la differenza tra una robusta inchiesta documentaristica e un film di fiction che sprizza sangue, sudore e lacrime. C’è sempre lei in scena: Lorna. Col suo corpo, la sua frenesia, la coscienza messa a nudo, i dubbi, i patimenti, i sensi di colpa e la follia. Lorna, insistentemente Lorna, personaggio-attrito fra i molteplici strati della comunità, simile a una ferita che non si rimargina mai perché costretta alla bugia e al sotterfugio, infiammata dagli incontri al buio e dai conflitti interiori che rendono le azioni meno fluide e le facili soluzioni, sbagliate. Lorna come granello nell’ingranaggio che (si) manda fuori giri e costringe un mondo nascosto a mostrare il suo volto ignobile, come una creatura mostruosa che sfiora il pelo dell’acqua. Un film sull’istinto di conservazione, magistralmente reale e realistico senza essere accademico; brutale e diretto ma senza intenti moraleggianti. E’ nelle pieghe del reale, negli intervalli poco sorvegliati in cui lo sguardo fatica a posarsi e dove esplodono le contraddizioni che i fratelli Dardenne costruiscono il luogo del loro cinema rigoroso, carico di dolore ma assolutamente necessario.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Adesso mi sento in colpa e anche stupida a non aver mai visto un film dei dardenne, e inoltre per non aver ancora acquistato la sciarpa di lana largona per il look intellettuale. Il blogger, trovo, è geniale sia nel recensire che nello scandagliare la varia umanità che gravita attorno al cinema. Chiunque sia andato al Quattro Fontane sa che ha fatto una fotografia perfetta dell'ambiente.

Un'ammiratrice